Interrogarsi sul senso di vivere in un luogo estremo
La regione artica sta affrontando un periodo di profondi cambiamenti in cui il clima è forse l’aspetto più eclatante, ma certamente non l’unico: che sia direttamente collegato agli eventi climatici o meno, nuovi importanti fattori economici stanno ridisegnando la mappa economica e politica del Grande Nord. La ricerca di nuovi pozzi di petrolio e gas, così come l’apertura di nuove rotte commerciali tra la Cina e l’Occidente contribuiranno significativamente a ridefinire la geometria globale del potere. Oltre a ciò, è il turismo a rappresentare uno dei vettori più importanti per l’intera regione.
L’arcipelago delle Svalbard è probabilmente uno dei casi più estremi e intriganti da valutare e rappresenta un condensato delle evoluzioni e delle contraddizioni che hanno attraversato e continuano ad attraversare la regione artica: situato tra il 74° e l’81° parallelo di latitudine nord, con una superficie di oltre 61.000 km e una popolazione di poco più di 2.600 abitanti, l’arcipelago rappresenta la striscia di terra abitata più settentrionale del pianeta. Longyearbyen, con circa 2.400 abitanti, è la città più popolosa e ospita quasi tutta la popolazione, a parte la piccola colonia russa di Barentsburg e i ricercatori internazionali della stazione di Ny-Ålesund.
L’arcipelago delle Svalbard è oggi un “santuario ecologico” dove vive ancora una grande popolazione di orsi polari: un luogo potente e selvaggio, forzatamente modellato dalla natura, la cui bellezza, mista alla curiosità per un luogo di frontiera, spesso ostile e impenetrabile, ha incuriosito le menti dei turisti fin dal XIX secolo.
Tuttavia, è stato solo l’avvento dell’industria mineraria a segnare l’inizio di una stagione economica per le Svalbard, ormai quasi completamente esaurita e destinata a spegnersi con la chiusura della miniera n° 7, nel 2027. Il paradosso di un’economia ancora legata al carbone e ai combustibili fossili è senza dubbio ancora più evidente in un ambiente così sensibile ai cambiamenti.
In effetti, nessuno degli elementi distintivi del territorio che compone l’arcipelago sembra immune da questa realtà: il ghiaccio, la neve, le popolazioni animali, la salinità degli oceani, la vegetazione, e persino le precipitazioni annuali e la loro intensità. Oltre a questi fattori, l’inevitabile scioglimento del permafrost è uno dei principali problemi della città: l’aumento del rischio di valanghe, e la loro intensificazione negli ultimi anni, ha costretto la municipalità a riscrivere la mappa delle aree edificabili, limitando notevolmente le possibilità di costruzione. Ampie parti dell’attuale area edificata si trovano ora nella zona di pericolo e devono quindi essere abbandonate.
La profonda crisi ambientale ed economica, culminata simbolicamente con la chiusura delle attività minerarie nel 2008, è accompagnata da nuove possibilità per la città che potrebbero plasmare il suo futuro in una dimensione post-mineraria. Il turismo e la ricerca, insieme alla costruzione di un nuovo porto, rappresentano i possibili nuovi punti di forza su cui Longyearbyen sta cercando di puntare.
Molte le questioni affrontate dal workshop WISH2021 – in circa un mese di indagini progettuali: il dialogo con l’esistente, il coraggio e l’ambizione di delineare una nuova visione urbana in cui lo sviluppo sociale della città sia in risonanza con il paesaggio e il territorio di cui dovrebbe divenire custode, sono le principali linee guida di un futuro possibile per Longyearbyen. Lo studio attento e ragionato delle nuove condizioni del terreno, dettate dalla maggiore instabilità del permafrost, è stato un ulteriore tema, che ha imposto di coniugare esigenze abitative e considerazioni strutturali, condensate insieme in edifici capaci di accogliere sperimentazione, tipologia e tecnologia: un mix indispensabile, a cui si aggiunge la necessità di un totale ripensamento del sistema infrastrutturale che alimenta e sostiene l’insediamento. Riflessioni che portano necessariamente a domandarsi sul perché stesso della presenza dell’uomo sull’arcipelago e, con essa, sul senso dell’abitare in un luogo così estremo.
- 1.Longyearbyen and the urban outdoors
- 2.City: one single object
- 3.Built geography
- 4.Plug-in Longyearbyen: a linear energy distribution as a connecting infrastructure
- 5.Infrastructure as a primitive gesture
- 6.Housing in Longyearbyen: a new waterfront
- 7.Artificial boundary: an act of resilience
- 8.Longyearbyen +18
- 9.Reusing the livelihood of Longyearbyen
Edizione realizzata da
Martino Pedrozzi, professore Andrea Nardi, assistente
in collaborazione con
- Norwegian University of Science and Technology (NTNU) Olav Kristoffersen, professor in architectural design at the Department of Architectural Design and Management Amund Klæbo Lyngstad, assistant
Critici invitati
Olav Kristoffersen Giacomo Guidotti Vincenzo Tuccillo
Workshop
a Mendrisio
25 luglio–19 agosto
a Longyearbyen
21–27 agosto
Conferenze
- Sascha Roesler, “Energy and ‘collective form’“
- Olav Kristoffersen, “Row-houses in Longyearbyen”
- Andrea Roscetti, “Land of sunshine”
- Roberto Guidotti, “Panaceas”
- João Gomes da Silva, ”Quinta da malagueira”
- Andrea Nardi, “Arctic town. The work of Ralph Erskine”
- Angelo Odetti, “Research and innovation. Among the glaciers of Svalbard Thor”
- Bjørn Arlov, “Community on the verge: on the history of human settlement on Svalbard”
Visite
a Longyearbyen
- Città di Longyearbyen
- Svalbard Museum
- Miniera 3
- Svalbard Satellite Station a Platåberget
- Città di Pyramiden e Nordenskiöld Glacier
- Trekking del Trollsteinen